SAN ROCCO 16 AGOSTO

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Rocco di Montpellier, universalmente noto come san Rocco (Montpellier1346/1350 – Voghera, notte tra il 15 e il 16 agosto1376/1379), è stato un pellegrino e taumaturgo francese; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica ed è patrono di numerose città e paesi. È il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste, e la sua popolarità è tuttora ampiamente diffusa. Il suo patronato si è progressivamente esteso al mondo contadino, agli animali, alle grandi catastrofi come i terremoti, alle epidemie e malattie gravissime; in senso più moderno, è un grande esempio di solidarietà umana e di carità cristiana, nel segno del volontariato. Con il passare dei secoli è divenuto uno dei santi più conosciuti nel continente europeo e oltreoceano, ma è rimasto anche uno dei più misteriosi.[1]

La vita

L’adolescenza

Tutte le antiche fonti scritte concordano sul fatto che Rocco sia nato da una famiglia agiata di Montpellier, in Francia, anche se per la verità mancano adeguati riscontri documentari; resta il fatto, comunque, che questo dato, ormai tradizionale, non è mai stato messo in discussione, né sono state avanzate proposte o ‘rivendicazioni’ alternative. Anche della sua famiglia si conosce ben poco, e i tentativi di individuarla non hanno dato alcun frutto. Per alcuni studiosi, peraltro, Roch non sarebbe il nome, bensì il cognome[2]; ma nonostante alcune ingegnose genealogie, l’ipotesi è risultata ben poco fondata. Tuttavia, la tesi più fortunata – ancor oggi – è quella che chiama in causa la famiglia Delacroix, ma anche in questo caso non esiste alcuna prova certa; anzi, Pierre Bolle ha fatto opportunamente notare, come importante documento a contrario, una contestazione addirittura di epoca seicentesca[3]. Il problema, dunque, rimane insoluto.

Comunque sia, secondo la tradizione, Rocco nacque, festeggiatissimo, come un dono miracoloso che veniva al mondo quando i genitori Jean e Libère, molto avanti negli anni, avevano perso la speranza di avere un erede per l’antico casato[4]. Ricevette un’educazione molto religiosa da parte della pia madre, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla vergine Maria – a cui è associato in tutta l’iconografia che lo riguarda – e che lo spinse sin dalla nascita a diventare un “servo di Cristo”, ossia a seguire Cristo nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste, come si può notare dalla croce rossa marchiata sul suo petto come simbolo di vocazione eterna. Il suo sentimento religioso, i suoi comportamenti abituali (consolare il pianto dell’orfano, prestare assistenza all’infermo, dare da mangiare all’affamato), il suo carattere amabile nonostante le sue ricche origini, ricordavano a distanza di un secolo Francesco d’Assisi a cui Rocco era devoto[5]. A siffatte qualità d’animo con armonia si univano mirabili doti della mente grazie alla formazione sino all’età di vent’anni presso l’università di Montpellier, a cui affluivano giovani da ogni angolo della Francia. Perduti i genitori in giovane età, distribuì i suoi averi ai poveri e s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.

Il pellegrinaggio in Italia

Arrivato in Italia, durante le epidemie di peste andava a soccorrerne i contagiati anziché fuggire i luoghi ammorbati. Verosimilmente l’epidemia più rilevante di cui si tratta era la peste che investì l’Italia nel 13671368, anche se Rocco certamente aveva già conosciuto il drammatico evento durante la sua giovinezza, a Montpellier. La peste mieteva a migliaia le sue vittime, i colpiti non si contavano più e aumentavano i cadaveri insepolti; le città e le campagne erano abbandonate, preda di saccheggiatori e depravati; i medici non erano in grado di curare gli infermi, i sacerdoti erano insufficienti nel prestar conforto con la fede. In questa immane tragedia si faceva strada Rocco, allora ventenne, che nonostante la sua persona debolissima (piccolo di statura, pelle bianca, mani sottili ed eleganti, capelli biondi e arricciati, occhi dolci e pensosi e una testa piccola e regolare) si sentiva ugualmente idoneo ad affrontare il grave pericolo di un lungo viaggio e dedicarsi alla sua vera vocazione: la carità, senza alcun limite di tempo e spazio. Nel suo pellegrinaggio mai si confuse nella folla intenta a visitare e ammirare le chiese e i monumenti delle città.[6]

Acquapendente è una delle poche città ricordate unanimemente da tutte le antiche agiografie, non solo come tappa fondamentale e irrinunciabile per qualunque pellegrino medievale diretto a Roma, ma soprattutto in quanto suggestivo luogo del primo, importante episodio della vita di san Rocco in terra italiana. L’incontro con Vincenzo, presumibilmente nel locale Hospitale di San Gregorio – incontro magistralmente narrato da Francesco Diedo nella sua Vita Sancti Rochi (1479) – è infatti diventato l’unico che possa essere paragonato, in termini di popolarità, con i celebri eventi della zona di Piacenza.[7] Un fatto straordinario accompagnò la missione del giovane pellegrino ad Acquapendente: su invito di un angelo, egli benediceva gli appestati con il segno della croce e all’istante li guariva toccandoli con la mano taumaturgica. Così, in breve tempo, l’epidemia si estinse.[8]

Analogamente si comportò Rocco in diverse altre località, dove intervenne per contrastare la peste, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, il che contribuì a far emergere il carisma del santo presso una popolazione terrorizzata: basti dire che la peste nera del 1348 uccise un terzo, forse la metà, dell’intera Europa.

Per la verità, sono molte le città che sono state associate, nel corso dei secoli, al pellegrinaggio italiano di san Rocco. Ovviamente non è possibile certificare alcunché, ma quantomeno alcune località sono state tramandate dalle antiche agiografie quattrocentesche: oltre ad Acquapendente, ForlìCesenaRimini (e la Romagna in genere), Roma, la zona di TrevisoNovara e Piacenza[9]. Voghera, invece, è comparsa nel manoscritto di Bartolomeo dal Bovo (si veda sopra).

Giunto a Roma, secondo la nuova cronologia, tra il 1367 e il 1368, vi rimase tre anni e qui curò, fino a ottenerne la guarigione, un cardinale non meglio individuato, che comunque, secondo alcuni storici, andrebbe identificato con Anglico Grimoard, francese, originario di Grisac, fratello di papa Urbano V[10]; personaggio insigne per virtù religiose, uomo pratico di governo, fu nominato cardinale nel 1366 con il titolo di san Pietro in Vincoli. Fu lui a presentare Rocco al papa, per un’udienza che ha assunto una notevole importanza anche per le ricostruzioni cronologiche degli storici[11].

Malattia, isolamento e guarigione

Anche il ritorno da Roma a Montpellier fu interrotto da un’epidemia di peste, in corso a Piacenza. Rocco vi si fermò ma mentre assisteva gli ammalati, probabilmente nell’ospedale di Santa Maria di Betlemme, venne contagiato; per non mettere a rischio altre persone, si trascinò fino a una grotta (tuttora esistente, trasformata in luogo di culto) lungo il fiume Trebbia, secondo la tradizione in una zona che all’epoca era alla periferia di Sarmato, sempre sulla via Francigena. Le antiche agiografie, a questo punto, narrano che un cane (che tanti artisti dipingeranno o scolpiranno al fianco del santo), durante la degenza di Rocco appestato, provvide quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo; se si trattasse del castello di Sarmato, il nobile potrebbe essere identificato in Gottardo Pallastrelli, che, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse nella capanna di Rocco[12].

Soccorso e curato dal nobile signore, Rocco riprese il suo cammino. Gottardo voleva seguirlo nella vita di penitenza ma Rocco glielo sconsigliò. Nonostante ciò, talmente commosso alla vista di quel mendico e affascinato dalle sue parole, cedette anch’egli ai poveri il suo patrimonio e si ritirò da pellegrino in quella capanna.[13] Gottardo, secondo alcuni[14], divenne il primo biografo del santo pellegrino e (secondo la tradizione) ne dipinse il primo ritratto, tuttora visibile, affrescato nella chiesa di Sant’Anna di Piacenza: la datazione non coincide, ma si tratta comunque della più antica raffigurazione del santo, assieme a una statua ora conservata a Grenoble[15].

La peste intanto riapparve di nuovo violenta a Piacenza e quindi Rocco ritornò in città sul campo d’azione; debellato definitivamente il morbo nella città e nei villaggi circostanti, il santo si ritirò nella selva, per occuparsi degli animali colpiti dalla peste, non più isolato bensì accompagnato da parecchi piacentini che professandosi suoi discepoli, mostrarono l’interesse di coadiuvarlo e trasmettere il suo coraggio e le sue parole. Esaurito il suo compito, decise di ritornare in patria.

Nel corso dei secoli, san Rocco è pure venerato quale Terziario francescano, al pari del beato Corrado Confalonieri da Piacenza[16], che fino al 1340 circa, proprio non molto lontano da Sarmato, si era ritirato nell’ hospitio di Calendasco, presso il passo del Po lungo la via Francigena, per poi partire pellegrino e morire nel 1351 a Noto in Sicilia.

I privilegi papali concessi al Terz’ordine regolare nel 1475 e poi nel 1547 per l'”Ufficiatura Liturgica propria di San Rocco”, fanno menzione di altri più antichi documenti papali, quali quelli di papa Onorio III e papa Gregorio IX.[17]

Il viaggio di ritorno

Quello che avrebbe dovuto essere il ritorno a Montpellier, si interruppe in terra italiana (probabilmente, come si vedrà, a Voghera). In quelle regioni funestate dalla guerra giunse Rocco, anelante di ritornare in patria senz’altro chiedere che tranquilla ospitalità. Dalla barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, giunse al confine della cittadina, non sfuggendo né alla curiosità della gente né alla vigilanza delle sentinelle. Nessuno lo riconobbe, pur essendo i suoi parenti per parte di madre di origine lombarda: sospettato per la sua riluttanza a rivelare le sue generalità e scambiato per una spia, fu legato e condotto dinanzi al governatore, suo zio paterno, che non lo riconobbe (e nulla fece Rocco per farsi riconoscere). Non si ribellò quando senza ulteriori indagini e senza processo finì in carcere restandovi per un lungo periodo (dai tre ai cinque anni, a seconda delle biografie) dimenticato da tutti.[18]

La prigionia e la morte

La prigionia fu vissuta dal santo in un tormentoso silenzio e nel desiderio di essere lasciato in solitudine, non riconosciuto, a vivere quei pochi giorni che gli restavano. Non si lamentava della sua sorte, anzi aumentava i tormenti del carcere castigando la sua persona con molte privazioni, continue veglie e flagellazioni cruente. Se gli si domandava: «È mai vero che siete un esploratore dei nostri nemici?» lui rispondeva: «Io sono peggiore di una spia».[19] Nonostante gli innumerevoli sforzi di un sacerdote, insospettitosi dello strano atteggiamento di Rocco durante le sue visite in carcere, di perorare la causa del prigioniero, il governatore non prestò ascolto. Intanto nella cittadina correva la notizia che in carcere un innocente si lasciava morire; e Rocco morì, trentaduenne, nella notte tra il 15 e il 16 agosto, per gli antichi scrittori nel 1377, in realtà in un anno imprecisato tra il 1376 e il 1379.

L’annuncio della sua morte lasciò un intenso dolore, che invase l’intera popolazione unito allo sgomento per aver fatto morire un innocente in carcere. Tale commozione esplose quando a fianco della sua salma venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome di Rocco e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello»; ma soprattutto, suscitò scalpore il riconoscimento del corpo da parte di una dama – la nonna di Rocco, madre del governatore -, che grazie alla croce rossa impressa nelle carni di Rocco, identificò in lui suo nipote. Il compianto di un’intera cittadinanza fu il premio di tanta virtù, e in sua memoria la salma, sulla quale si scolpirono le parole rinvenute sulla tavoletta, venne deposta in una grande chiesa.[20]

Il ruolo di Voghera

Fin qui i dati della tradizione, che a volte indicano in Angera o Montpellier il luogo della morte: in realtà, più che mai in questo caso, le antiche agiografie sono del tutto inaffidabili. Le scoperte documentarie di François Pitangue, gli studi più recenti di Pierre Bolle e le ricapitolazioni di Paolo Ascagni sono ben chiare nel respingere le vecchie ipotesi; e per quanto riguarda il caso di Angera, gli errori e le alterazioni di dizione, nel senso di una confusione con Voghera, sono state ben dimostrate dal Niero[21].

Momento della processione durante la festa di san Rocco a Satriano di Lucania

L’ipotesi oggi ritenuta più probabile, dunque, è che san Rocco sia morto nel carcere di Voghera, dove già nel 1391 – e forse ancor prima, nel 1382 – era attestata la prima festa in suo onore, in un documento di straordinario rilievo storico[22]. Tenuto conto di altri importanti documenti, si può concludere, a oggi, che Voghera sia stata il luogo del primo deposito del corpo del santo (fino al 1483), e soprattutto il fulcro della prima espansione del culto, insieme alle limitrofe zone piacentine[23].

Agiografia e dati cronologicil’agiografia comparata alle più recenti indagini biografiche, confrontando e incrociando le date della vita del santo e gli eventi storici dell’epoca, è nella seconda metà del Trecento che si può attestare che nelle carceri di Voghera moriva un pellegrino di origine francese arrestato circa cinque anni prima con l’accusa di spionaggio, aggravata dalla reticenza nel dare le proprie generalità[24]. Alcune tra le più antiche fonti quattrocentesche sono concordi nel ricordare che la morte di san Rocco di Montpellier avvenne martedì 16 agosto 1377, ma in realtà quell’anno a tale data corrispondeva la domenica; dalla verifica degli anni in cui il 16 agosto cadeva di martedì spicca, significativamente, il 1379[25].

Attorno a quest’uomo aleggiava già una certa fama di santità, accompagnata dai fatti di Piacenza e Sarmato, fama di santità che avrebbe portato alla presunta acclamazione della stessa durante il Concilio di Costanza, nell’anno 1414; ma si tratta di una notizia che non regge a un’accurata verifica delle fonti, come dimostrato soprattutto dal belga Pierre Bolle, tra i massimi esperti mondiali della figura di san Rocco[26].

Su Rocco di Montpellier si inseriranno e si confonderanno, è vero, elementi di Racho di Autun (è la tesi del Bolle) ma basteranno pochi decenni perché le fonti restituiscano sufficienti elementi di valutazione, fondamentali ai fini del culto, per avvalorare il quale la ricerca storica rimuove gli elementi spuri. Tra quelli da tenere sempre presenti vanno considerati:

  • l’antichità provata e documentata del culto,
  • la presenza delle reliquie,
  • la diffusione e la persistenza del culto stesso, non certo per ragioni emotive (in sostanza sono gli elementi su cui Pierre Bolle lavora, come del resto su dati simili, prima di lui, già i Bollandisti avevano basato la loro severa opera di disamina).

Per quanto riguarda la cronologia della vita di san Rocco, per diversi secoli è stata accettata quella tradizionale di Francesco Diedo, l’autore della più celebre opera dedicata al santo (Vita Sancti Rochi, prima edizione 1479). Secondo l’autore veneziano, Rocco sarebbe nato nel 1295 e morto nel 1327, ma tali date sono state respinte dagli studiosi, soprattutto a seguito delle importanti ricerche di alcuni storici del Novecento, in particolare Antonio Maurino e Augustin Fliche. La loro ricostruzione è nota come la nuova cronologia, e circoscrive la vita di san Rocco al periodo 1346/50 – 1376/79. Tale datazione si basa sull’incrocio di attestazioni documentarie specifiche, elementi storici di ordine generale e congetture ovviamente non sempre del tutto probanti; in ogni caso, essa è di fatto l’unica che possa essere accettata dagli studiosi convinti della storicità della figura del santo[27].

Le più antiche fonti documentarie

Statua di S. Rocco Protettore di Flumeri (Avellino)

Le notizie su san Rocco, più o meno attendibili, che si sono trasmesse nel corso dei secoli, hanno come riferimento essenziale alcune agiografie di epoca quattrocentesca. Com’è noto agli studiosi, si tratta di opere che non hanno un precipuo intento storico, e pertanto devono essere valutate con estrema cautela; le antiche agiografie dedicate ai santi non sono delle biografie nel senso moderno del termine, ma semmai dei testi edificanti, finalizzati a presentare al pubblico dei devoti un esempio di fede e di testimonianza cristiana[28]. Tuttavia, espungendo da tali opere gli elementi leggendari e cercando gli adeguati riscontri in documenti liturgici o civili più attendibili, è possibile ricavare una serie di dati “biografici” sufficientemente accettabili.

Nel caso di san Rocco, le agiografie più antiche sono le seguenti:

  • Francesco Diedo, Vita Sancti Rochi (1479). Cinque edizioni in lingua latina, due in lingua italiana.
  • Anonimo tedesco, Historie von Sant Rochus (1482). Tre edizioni in lingua tedesca.
  • Anonimo latino, Acta breviora (1483). Due edizioni in lingua latina, ma all’interno di opere generali sui santi.
  • Jehan Phelipot, La vie et légende de msgr. Saint Roch (1494). Tre edizioni in lingua francese.

A queste vanno aggiunte altre opere di minor rilievo: il Compendium vitae sancti Rochi (1493) e le Vitae di Ercole Albiflorio (1494), Jean de Pins (1516) e Lelio Gavardo (1576). Ma in ogni caso, l’elemento essenziale è che queste agiografie hanno rappresentato, per cinque secoli, le fonti di riferimento fondamentali – e uniche – non solo per i devoti, ma anche per gli storici; ed è solo dopo l’anno 2000 che sono state ritrovate ben tre agiografie del Quattrocento, sconosciute alle precedenti generazioni di studiosi:

  • Domenico da Vicenza, Istoria di San Rocco (1478/80). Un’edizione in lingua italiana, più un manoscritto.
  • Paolo Fiorentino, Vita del glorioso confessore San Rocho (1481/82). Un’edizione in lingua italiana.
  • Bartolomeo dal Bovo, Vita Sancti Rochi confessoris (1487). Un manoscritto in lingua latina.

Si tratta di testi di straordinario valore, in particolare il primo e il terzo, che hanno determinato una vera e propria svolta negli studi su san Rocco, soprattutto a proposito della ricostruzione delle derivazioni testuali fra l’agiografia ‘capostipite’ e le successive. Secondo Pierre Bolle, si potrebbe oggi ritenere che la prima Vita dedicata al santo non sia quella del Diedo, ma quella di Domenico da Vicenza; e non si può escludere che il manoscritto di Bartolomeo dal Bovo possa essere collegato alla primissima agiografia rocchiana[29]. Una presentazione dei contenuti e delle caratteristiche di queste tre importanti agiografie è stata pubblicata da Paolo Ascagni, sulla base delle risultanze dei primi studi di Pierre Bolle, Francesca Lomastro ed Elena Cristina Bolla[30]. In ogni caso, tutte le agiografie quattrocentesche di san Rocco sono in rete a disposizione degli studiosi[31].

La storicità di san Rocco

San Rocco – Casamassima (BA)

Fino al Novecento, le opere dedicate al santo hanno avuto uno scarso valore storico, e di fatto hanno mantenuto un carattere sostanzialmente agiografico; l’unica eccezione, settecentesca, è stata rappresentata dal lavoro dei Bollandisti, peraltro non del tutto esente da pecche[32]. Le cose sono cambiate, appunto, nel secolo scorso, quando finalmente è stato adottato un approccio metodologico realmente storico; i risultati, oggi, sono in parte superati, ma nell’ambito della naturale evoluzione degli studi. Utilizzando lo schema di classificazione proposto dall’Ascagni, si possono ricordare i seguenti autori:

Prima scuola francese

Si tratta di studiosi ancora legati alle notizie tradizionali su san Rocco, soprattutto in materia di cronologia: Alexandre Germain, Paul Coffinieres, l’abbé Recluz, l’abbé Chavanne, l’abbé Saumade, con opere uscite fra il 1851 e il 1876. L’unico autore di vero rilievo è stato Joseph Despetis, con la sua importante Conférence sur saint Roch (1913-1914); di buon livello anche il Saint Roch. Histoire et légendes (1929) dell’abate Bessodes, quantomeno nell’appendice.

Scuola italiana

Sono gli storici che si sono distinti per l’elaborazione della cosiddetta nuova cronologia, il primo grande punto di svolta della storiografia rocchiana. Tra le loro opere spiccano gli Appunti critici su una devozione popolare (1921) di Paolo Guerrini, e le Nuove ricerche biografiche su san Rocco di Montpellier (1959) di Antonio Maurino.

Seconda scuola francese

Anche in questo caso, l’apporto principale è stato l’ulteriore affinamento della nuova cronologia. Si tratta di Augustin Fliche (Le problème de saint Roch, 1950), Jean Segondy e François Pitangue (Nouvelle contribution à l’étude de la vie authentique, de l’histoire et des legendes de Mgr. Saint Roch, 1984), il protagonista delle grandi scoperte documentarie su Voghera.

Questi studiosi hanno affrontato il ‘caso san Rocco’ in senso generale, mentre altri autori hanno fornito importanti apporti su casistiche più specifiche. È il caso di Irène Vaslef[33] e soprattutto di Heinrich Dormeier, che si è concentrato, con notevoli risultati, sulla nascita del culto rocchiano in terra tedesca[34].

Ma come già detto, l’artefice della vera e propria rivoluzione in tutta la materia rocchiana è stato il belga Pierre Bolle, autore, oltre alla monumentale opera del 2001[35] di diversi, successivi saggi di enorme impatto storiografico[36]. Anche per una diversa interpretazione delle tesi del Bolle sulla questione di Racho d’Autun si è distinto il bollandista Robert Godding[37], mentre in Italia il principale studioso di san Rocco è Paolo Ascagni, anche tramite la direzione di un apposito Centro Studi internazionale (di cui fa parte lo stesso Bolle)[38]. Significativo è stato il suo reperimento, nella Biblioteca di Cremona, di un messale romano del 1476[39], in quanto il calendario delle festività liturgiche riporta, al 16 agosto, la festa di san Rocco; ebbene, quel 1476 è precedente a tutte le antiche agiografie rocchiane, e proprio per questo tale dato è potenzialmente innovativo rispetto alla questione della diffusione del culto (veicolato prima dalle opere a stampa e dopo dal riconoscimento ufficiale della Chiesa, come si è finora ritenuto, o viceversa?)[40].

In definitiva, comunque, sono state le ricerche di Pierre Bolle a rappresentare il più approfondito lavoro sulle agiografie di Rocco di Montpellier. Esse hanno messo in luce la non del tutto acquisita storicità di molti dati riferiti a questa figura di santo, le cui biografie convenzionalmente richiamate fino a questo lavoro di revisione, erano incrementate da elementi spuri e/o leggendari che intaccavano pure le date della sua vita. La revisione dello studioso è servita a chiarire la cronologicità delle agiografie e a rivoluzionare le cronologie stesse (quale fosse la più antica e quali fossero invece semplici e/o successive rielaborazioni e aggiunte), secondo una rigorosa metodologia storica.

Secondo Pierre Bolle, dunque, la figura di san Rocco convenzionalmente conosciuta fino a poco tempo fa sarebbe quindi stata la “rivisitazione agiografica” di un suo omonimo più antico, san Racho di Autun, vissuto prima dell’anno 1000. Quest’ultimo, patrono dei prigionieri per essere lui stesso stato imprigionato dai suoi accusatori in un’isoletta presso le coste britanniche, era invocato contro le tempeste, e data l’assonanza, sarebbe alla base sia della confusione dei nomi (Raco/Rocco), sia della titolarità del patronato di guaritore dalla peste, che si sarebbe generato per aferesi della parola francese tempeste: il passo fu breve, tanto più se si pensa che le teorie della medicina galenica di allora attribuivano l’origine dei morbi alla corruzione dell’aria e alla conseguente rottura dell’equilibrio all’interno del corpo umano e di conseguenza la quarantena.

Le tesi di Bolle hanno rivoluzionato gli studi sul santo, anche se in campo agiografico l’esistenza di “doppioni” e omonimi alla base della creazione di nuovi santi è un procedimento conosciuto, come ad esempio nel caso dei santi Vincenzo di Agen e Albano di Namur. Tutto questo lavoro ovviamente nulla toglie alla vicenda sia umana sia religiosa del santo, che anzi riemerge da questa revisione “disincrostato” da elementi pietistici fini a sé stessi e che appesantivano il lineare inquadramento dei suoi carismi, figura ed esempio.

La canonizzazione

San Rocco – Simulacro in argento, Noicattaro(BA)

La scarsa storiografia su san Rocco si estende anche alla sua canonizzazione. Non solo non si conosce con esattezza la data ma addirittura c’è ancora oggi chi nega che ci sia stata per il santo una vera e propria elevazione alla gloria degli altari. L’ipotesi più celebre, propagata dall’antica Vita sancti Rochi del Diedo, è che sia avvenuta per opera del concilio di Costanza nel 1414, durante il quale, secondo la tradizione, la cittadina fu colpita dalla pestilenza e mentre i padri conciliari stavano discutendo se convenisse lasciare la città, un giovane cardinale propose in assemblea come unica soluzione il ricorso a un uomo di Dio, san Rocco. La proposta fu accolta e dopo aver portato in processione per la città l’immagine del santo, la città fu in breve tempo liberata dal morbo. Fu quella, quindi, una canonizzazione avvenuta per acclamazione di popolo e ufficialmente riconosciuta dal concilio;[41] ma come già detto, si tratta di un evento storicamente indimostrabile.

La prima ufficializzazione del culto di san Rocco è comunque avvenuta in un periodo tribolato per la Chiesa, il cosiddetto scisma d’Occidente, con più papi eletti contemporaneamente al soglio pontificio, il primo fra i quali, papa Gregorio XIII ne fissò la sua festa al 16 agosto. Infine, Urbano VIIIapprovò solennemente il suo culto nel 1629 e la Congregazione dei riti concesse un ufficio e una messa propri alle chiese costruite in onore del santo. Nel 1694papa Innocenzo XII prescrisse ai francescani di celebrarlo con il rito doppio maggiore. Così la gerarchia ecclesiastica seguì l’entusiasmo espresso dai fedeli nei confronti di Rocco diventato santo grazie ai suoi miracoli piuttosto che al favore del clero.[42]

Il culto

Patronati

Fin dal Medioevo si invocava l’intercessione di san Rocco, presso Dio, contro la peste,[43] autentico flagello che, a più riprese, si diffuse per contagio nel vecchio continente mietendo milioni di vittime. Questo in virtù della dedizione che Rocco ebbe in vita nella cura e risanamento di quanti furono colpiti da questa malattia. I recenti aggiornamenti liturgici gli riconoscono pure il patronato contro altre malattie (lebbra,[43] colera,[43] osteoporosi,[43] AIDS,[43] tumore,[43]leucemia[43]) e, in generale, contro le epidemie[43] e tutte le malattie contagiose.[43]

Per quanto concerne i disastri naturali, il santo francese è invocato presso Dio contro la siccità,[43] i terremoti[43] e, in generale, contro tutte le calamità naturali.[43]

È patrono dei volontari,[44] dei pellegrini e dei viandanti[44] (essendo stato lui stesso un pellegrino), degli automobilisti,[43]degli assicurativi,[45] dei farmacisti,[44] dei chirurghi,[43] degli infermieri (e degli operatori sanitari in generale),[44] dei becchini,[43] dei cavapietre,[43] dei servitori,[43] dei giovani[43] e degli animali[44] (in special modo dei cani e nelle invocazioni delle campagne contro le malattie del bestiame). Inoltre è patrono degli invalidi,[46] dei prigionieri[46] e degli emarginati,[44] per aver provato le stesse condizioni durante la sua vita.

Solamente in Italia, san Rocco è il patrono di oltre cento comuni.

Reliquie

Tomba di San Rocco a Venezia

Nel 1485, secondo il dato tradizionale, a seguito di un trafugamento, i suoi resti (salva una parte delle ossa di un braccio) furono portati da Voghera a Venezia, trovando definitiva collocazione, nella chiesa di San Rocco (per tale motivo è elencato come compatrono della città). In realtà, grazie a una delle più importanti scoperte documentarie di Pierre Bolle, si trattò di una compravendita, concretizzatasi nel 1483[47]; lo stesso Bolle ha clamorosamente smentito la secolare tesi della presenza di reliquie di san Rocco ad Arles, per cui le uniche, vere reliquie del santo sono quelle di Venezia o di derivazione veneziana[48]. Successivamente, per volontà di papa Clemente VIII nel 1595 una reliquia – sempre delle ossa di un braccio – fu fatta giungere a Roma e un’altra porzione di reliquie (tra cui una tibia) fu donata alla sua chiesa – santuario di Montpellier.

Nel 1995, il cardinale Marco Cépatriarca di Venezia, acconsentì all’esposizione temporanea delle reliquie presso la chiesa di San Rocco di Vernazza in Genova. Il 28 settembre di quell’anno, il corpo del santo, racchiuso in un’urna di cristallo, venne trasferito da Venezia e accolto da una moltitudine di fedeli con cerimonie solenni presso la chiesa ligure, alla presenza dell’Arciconfraternita San Rocco di Vernazza Morte e Orazione con i suoi quattro grandi Crocifissi processionali,[49] e di molte altre Confraternite genovesi.

Altre reliquie del santo sono conservate nelle seguenti località:

  • Roma, si custodisce una reliquia di una porzione d’osso del braccio destro del santo. In questa chiesa è eretta l’Arciconfraternita di san Rocco, “casa-madre” per tutte le altre confraternite omonime che vi siano aggregate. Presso di essa ha inoltre sede l’Associazione europea amici di san Rocco, fondata, presieduta e animata spiritualmente da fratel Costantino De Bellis.
  • Penta (Fisciano), è conservata una piccola reliquia del santo;
  • Castel San Giorgio (SA), è conservata una piccola reliquia del Santo donata l’8 agosto 2019 da parte della Diocesi di Salerno alla parrocchia S. Maria delle Grazie e S. Croce dopo il furto sacrilego;
  • Locorotondo, in una teca della chiesa madre è custodito un pezzo di rotula del santo;
  • Grisolia, è conservato un pezzo d’osso;
  • San Cesario di Lecce, in un reliquiario argenteo è custodito un frammento osseo;
  • Alezio, nella chiesa della Madonna Addolorata è conservato un dito del santo;
  • Genova, nella chiesa di San Rocco di Vernazza, uno scrigno d’argento custodisce una reliquia ossea del santo donata nel 1995 dalla chiesa veneziana del santo;
  • Pignola, in una teca della chiesa di Santa Maria degli Angeli, è custodito un minuscolo pezzo di un osso degli arti superiori del santo;
  • Satriano di Lucania, è conservata una porzione d’osso che viene esposta al culto durante la festa del santo;
  • San Giovanni La Punta, nella frazione di Trappeto, pare sia custodita nella chiesa dedicata al santo, costruita nel 1347, una piccola porzione del braccio, che viene esposta solennemente il 16 agosto;
  • Voghera, è tuttora conservata nella chiesa parrocchiale di San Rocco un’insigne reliquia del santo.
  • Alì Terme, in provincia di Messina.
  • Troina, in provincia di Enna, nel 2014, per il centenario dell’omonima Confraternita di San Rocco, fu donato dalla curia di Roma, un piccolo frammento osseo della reliquia del santo, che viene esposto al culto per la settena della festa che si svolge il 16 agosto.

La statua di san Rocco al momento dell’uscita dalla chiesa per la processione. Scilla, 22 agosto 2007

Diffusione del culto

Come citato, venne ricordato con ufficiatura liturgica propria quale appartenente ai Terziari francescani, anche se alcune non ancora provate tesi sulla sua “francescanità” pare affermino che essa sia dovuta all’azione dei religiosi francescani, appunto, che ne diffusero il culto sia su richiesta della Corte del Regno delle Due Sicilie (alcuni Borbone furono guariti per sua intercessione) sia per mandato di pontefici provenienti dall’Ordine dei Minori. Voghera rimane comunque il centro da cui si sviluppò il culto del santo pellegrino di Montpellier, la cui celebrazione è attestata a partire dalla fine del Trecento (il primo e più antico documento al mondo, attualmente disponibile, in cui se ne parli, è lo statuto comunale vogherese di quel tempo).

Nella zona di Montpellier il suo culto arrivò più tardi (la prima processione rilevante in suo onore fu celebrata nel 1505), per propagazione dal nord della Francia dove era stato diffuso per lo zelo della famiglia di commercianti germanico-veneziani Imhoff. Ivi coloro che maggiormente contribuirono a diffondere la conoscenza di questa carismatica figura di santità furono:

  • domenicani (la prima cappella dedicatagli fu eretta nel convento cosiddetto “dei Giacobini”, casa domenicana del centro storico di Montpellier, tuttora attiva);
  • trinitari (la casa religiosa più importante della zona era quella di Arles, dove si custodivano le reliquie di san Rocco di Autun, in seguito fu aperta quella di Montpellier dove la famiglia De Castries fece giungere la reliquia – tuttora conservata e venerata – di una tibia di san Rocco di Montpellier, appunto); questi religiosi guidavano la processione che la sera del 15 agosto si recava dinanzi alla casa del santo per cantarvi l’inno Ave Roche; dopo le soppressioni la loro chiesa fu riconsacrata nel 1830 come santuario – tuttora esistente – del santo;
  • i francescani, come indicano chiaramente ad esempio le “Fonti Francescane”, che sono una preziosa raccolta di documenti sulla storia del francescanesimo in generale, che riportano tutta la documentazione coeva a san Francesco e oltre, proprio relativamente alla diffusione del suo Ordine da poco approvato, e che in Francia, così come in tantissime altre nazioni, avrà una diffusione capillare.[50]

Le confraternite intitolate a san Rocco (a cominciare dall’Arciconfraternita Scuola Grande di Venezia, che ne custodisce il corpo), incominciarono a essere istituite dalla seconda metà del Quattrocento e si occuparono tra l’altro anche della sepoltura dei cadaveri abbandonati durante le epidemie. Quella di Roma dal 1556 ha il titolo di Arciconfraternita (decreto di papa Paolo IV) con la facoltà di aggregare altre confraternite omonime. Nella sua chiesa, per volontà di papa Clemente VIII, dal 1575 è custodita l’insigne reliquia di una porzione d’osso del braccio destro di san Rocco, reliquia oggi pellegrina al pari di altre reliquie conservate in altre località e che vengono recate, su richiesta, presso le comunità che venerano san Rocco e intendono onorarne i resti.

Spiritualità

La santità di Rocco si sviluppa autonomamente rispetto alla Chiesa, che occupa un posto marginale nella sua esistenza; si parla dunque di “individualismo religioso”.[51] Rocco è un laico che riceve una buona istruzione e prosegue con le proprie attitudini. Gli accenni a pratiche sacramentali reperibili nella sua biografia sono assai rari: l’incontro con il papa, che gli concesse l’indulgenza plenaria, grazie alla frequentazione per tre anni di un cardinale che il santo guarì a Roma; le visite di un sacerdote, durante il periodo di prigionia, a cui si confessò e si comunicò. Sebbene i testi agiografici e le immagini di san Rocco non trasmettono un messaggio anticlericale o eretico, altrimenti non avrebbero goduto del successo che registrarono nella cristianità del Quattrocento e Cinquecento, sebbene non ci sia traccia di critiche agli abusi del clero né alcuna allusione alle difficoltà affrontate dall’istituzione ecclesiastica né alla loro insufficienza nel prestare conforto agli appestati tramite la preghiera, quello che caratterizza san Rocco è un percorso puramente individuale e discreto, durante il quale il rapporto con il sovrannaturale lo colloca al di fuori di qualsiasi mediazione clericale e gli assegna il dono divino di guarire gli appestati con il segno della croce e convertire con il suo esempio di carità, povertà e servizio ai malati.[52]

Feste e tradizioni popolari

Numerose sono le feste dedicate al santo di Montpellier, santo universale dell’evo contemporaneo. Che la venerazione di san Rocco fosse molto forte in Italia o nelle città europee, mete del suo peregrinare, era scontato. Ciò che stupisce sono le numerose pratiche devozionali e le feste popolari dedicategli anche in luoghi dove sicuramente il santo non è mai arrivato.

Associazioni

Nella città natale di san Rocco, Montpellier, ha sede l’Association internationale saint Roch de Montpellier, punto di riferimento e centro di coordinamento per associazioni ed enti religiosi e civili che promuovono, nel mondo, la devozione al santo cittadino. In Italia, aggregata alla precedente, ha sede in Sarmato l’Associazione italiana san Rocco di Montpellier, centro studi rocchiano, con sede operativa in Cremona. A Roma invece è presente, con gli stessi scopi, l’Associazione europea amici di San Rocco, con sede nella chiesa di San Rocco all’Augusteo.

Confraternite

La più importante di tutte è senz’altro l’Arciconfraternita Scuola Grande di San Rocco in Venezia, fondata nel 1480, che custodisce il corpo del santo dopo la traslazione da Voghera. Questa Arciconfraternita costituisce il “polo di riferimento confraternale” per i rapporti, iniziative e sinergie, tra e a favore delle confraternite e altre associazioni rocchiane sparse praticamente un po’ in ogni dove del mondo cattolico.

 

TRATTO DA https://it.wikipedia.org/wiki/San_Rocco

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